Giuliano Plorutti è affascinato dagli artisti itineranti, i loro ritmi di vita, la sintonia con le stagioni, il vivere nomade. Il fotografo predilige il teatro di strada agli spettacoli delle consolidate famiglie circensi. Insegue un'idea di circo semplice, fatto di contaminazioni fra teatro, musica e danza, quel susseguirsi di abilità che ha rivoluzionato i fondamenti del circo, rinunciando all'uso di belve esotiche, lustrini, paillettes e riflettori, con gli artisti che si confondono fra gli spettatori. I confini che dividono il protagonista dal pubblico diventano sempre più sottili, così come quelli che separano il fotografo dal fotografato. Plorutti assorbe questo modo di essere e con la sua macchina fotografica non si pone nei confronti del soggetto in modo arrogante, come l'autore che deve portare a casa la propria idea di mondo. Al contrario, la sua presenza diviene invisibile, si rapporta alle persone spogliandosi del ruolo che riveste in quel momento. La fotografia sembra quasi venire dopo, prima ci sono le persone. Plorutti non ha aspettative nei loro confronti, esigenze che ne possano condizionare la posa, nulla è costruito. Le sue fotografie congelano il normale scorrere della vita all'interno del circo, merito della fiducia che di volta in volta l'autore riesce a guadagnarsi. Solo così l'atto fotografico perde invasività e diviene testimonianza di una vera relazione.
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